Lo studio in questione ha effettuato una review della letteratura relativa al Disturbo da Attacchi di Panico (con o senza Agorafobia) al fine di valutare se esiste una relazione tra fasi del disturbo e alterazione neurobiologica così da poter personalizzare il tipo di trattamento.
Come modello teorico di riferimento è stato preso in considerazione lo staging model di Fava et al. (1993), utilizzato in ambito psichiatrico per la caratterizzazione dell’evoluzione storica di un disturbo a partire dalla raccolta dei sintomi prodromici e predittivi, i quali, in seguito, potrebbero condurre alla comparsa del disturbo vero e proprio. In base a questa teoria il primo stadio è costituito generalmente dalla presenza di fattori predisponenti come vulnerabilità genetica, un certo tipo di personalità pre-morbosa, perdita di benessere psicologico. Il secondo stadio è caratterizzato da sintomi in fase acuta mentre il terzo dai sintomi residuali e il quarto dalla sintomatologia sub-cronica. Il quinto, ove presente, è costituito dalla cronicizzazione della malattia.
Per quanto riguarda il Disturbo da Attacchi di Panico, alcuni autori (Sheehan & Sheehan, 1982) ne hanno individuato le varie fasi dello staging model collocando al primo posto una sintomatologia che definiscono “sub-panic” caratterizzata da attacchi di panico con sintomatologia parziale o quantomeno limitata nel tempo e nella frequenza mentre, successivamente (secondo stadio), compare il panico vero e proprio. In seguito (terzo stadio) gli autori individuano l’instaurarsi di atteggiamenti ipocondriaci seguiti (quarto stadio) dalla comparsa di una fobia generalmente relativa all’ambiente in cui si sono verificati in passato gli attacchi di panico. Lo stadio 5 sarebbe caratterizzato dall’instaurarsi di una fobia sociale che nel sesto stadio si concretizzerebbe in agorafobia per poi sfociare (7 stadio), come conseguenza diretta in una depressione secondaria.
Lo studio ha dimostrato che il modello a fasi è applicabile alla pratica clinica in quanto esiste una diversa corrispondenza tra le varie fasi del disturbo e il correlato neurobiologico. In particolare, per il Disturbo da Attacchi di Panico è stato dimostrato come l’esperienza paurosa induca l’attivazione dell’amigdala che, a sua volta, attiverebbe pattern corporei in risposta allo stimolo. L’esperienza di paura lascerebbe, quindi, una traccia mnestica la quale si tradurrebbe nella produzione di uno stato ansioso in relazione all’esposizione, sia reale o anche solo immaginata, dello stimolo attivante. La conseguente attivazione della corteccia prefrontale mediale e orbitale porterebbe quindi all’evitamento della situazione potenzialmente attivante.
In relazione ai risultati ottenuti in questo studio potremmo quindi concludere che il modello a stadi risulta particolarmente importante per il fatto di aver posto l’attenzione sull’importanza dei sintomi subclinici in quanto fondamentali per la diagnosi precoce. Infine, il modello risulta particolarmente utile nel dare dei punti di ancoraggio ai medici permettendo di comprendere in quale fase dell’evoluzione del disturbo si trovino i loro pazienti sia per prevedere e prevenire l’evoluzione del disturbo, sia per promuovere l’utilizzo di trattamenti specifici creati ad hoc in relazione all’individualità del paziente, eventualmente anche identificando una classe di sottotipi clinici più sensibili ad alcune terapie piuttosto che altre.