Psichiatra e Psicoterapeuta

Il mondo degli ossessivi

La clinica

 

ossessioni Iniziamo col dire che qualche anno fa, nel 2013, con il DSM-V, la classe dei disturbi ossessivi è stato riorganizzata in maniera significativa. Infatti il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è stato ‘ritagliato’ dalla categoria dei disturbi d’ansia (nell’ambito dei quali era da sempre stato incluso) ed è stata creata una categoria a sé stante dei disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo. Tale categoria è andata ad includere altre patologie psichiatriche caratterizzate da ideazione ossessiva e/o comportamenti compulsivi come il disturbo da accumulo patologico (hoarding o disposofobia, in sostanza gli accumulatori seriali ), la tricotillomania (caratterizzata dallo strapparsi i capelli in maniera compulsiva), il disturbo da escoriazione cutanea (caratterizzato dal procurarsi lesione cutanee in seguito a grattamenti compulsivi), e per finire il disturbo da dismorfismo corporeo (caratterizzato da preoccupazioni eccessive e immotivate, con caratteristiche appunto ossessive, per presunti difetti del proprio aspetto fisico).

Il disturbo ossessivo-compulsivo propriamente detto (il DOC) è caratterizzato sostanzialmente da due ordini di fenomeni: le ossessioni e le compulsioni.

Le ossessioni hanno la forma di pensieri, immagini o impulsi ripetitivi e persistenti, che vengono vissuti dal soggetto come estranei al proprio mondo abituale di pensiero, con caratteristiche di intrusività e incoercibilità. Queste idee ossessive rappresentano una ricorrente fonte di preoccupazione, ansia e a volte danno origine a veri e propri stati d’angoscia. Il soggetto si ritrova di frequente impegnato in azioni mentali o comportamentali (che spesso hanno la forma di rituali) che rappresentano un tentativo (spesso inutile) per bloccarle o neutralizzarle. E’ importante sottolineare che comunque, in questi casi, è sempre mantenuta la convinzione che queste ossessioni, sebbene vissute come intrusive ed estranee al sé, siano un prodotto della propria mente (a differenza di idee o impulsi estranei al sé che si possono ritrovare in alcune forme psicotiche come la schizofrenia, e che in quel caso sono attribuite a soggetti o realtà completamente estranee al sé, appunto aliene).

I contenuti delle ossessioni possono essere caratterizzati da temi di colpa, di disgusto o di pulizia (la possibilità di sporcarsi o contaminarsi; immagini intrusive a sfondo sessuale, generalmente di tipo pornografico; intrusione di pensieri o immagini blasfeme). Possono essere rappresentati temi di paura (la possibilità di aver contratto una malattia, di poter far del male ad una persona cara, in genere in seguito alla perdita del controllo sulle proprie azioni). Frequenti sono anche temi relativi ad esigenze di ordine e di simmetria. Altra caratteristica psicopatologica degli ossessivi è rappresentata dal dubbio. Questi pazienti sono infatti di frequente ossessionati da dubbi ricorrenti che possono riguardare azioni anche banali del quotidiano (come aver spento le luci di casa, aver chiuso la macchina, aver spento il gas…). Questi dubbi, che a volte costituiscono delle vere e proprie ruminazioni mentali, a volte possono riguardare anche le proprie relazioni affettive o il proprio orientamento sessuale: in questi casi i pazienti possono ripetersi in maniera assillante e angosciosa “sarò gay? Sono attratto dagli uomini/donne?”, oppure  “è la donna/uomo giusta per me? Come posso essere sicuro che è vero amore?”. A volte queste ossessioni possono essere caratterizzate da quello che si definisce “pensiero magico” : “se tocco quell’oggetto accadrà qualcosa a mio figlio”, “ se ripeto 10 volte la stessa sequenza di numeri salverò mia figlia dalla possibilità di un grave incidente”.

Le compulsioni invece sono caratterizzate da comportamenti ripetitivi e stereotipati (come lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (come contare, pregare, ripetere mentalmente delle parole) che il pz mette in atto con la finalità di ridurre o prevenire l’ansia e la sofferenza generalmente provocata dalle ossessioni. Ad esempio i pazienti affetti da immagini intrusive blasfeme (un classico può essere quello di bestemmiare in chiesa o in contesti religiosi), possono trarre sollievo contando 10 volte all’indietro e 20 volte in avanti lo stesso numero ogni volta che sono presi dalla immagine intrusiva.

La letteratura scientifica dimostra che in più del 90% dei casi le ossessioni e le compulsioni sono entrambe presenti nelle storie cliniche dei pazienti (magari possono insorgere in momenti diversi), e tendono a manifestarsi secondo una coerenza tematica: le ossessioni di contaminazione tendono ad accompagnarsi a rituali di pulizia, così come quelle di ordine e di simmetria a comportamenti compulsivi di riordino dei propri ambienti domestici o di lavoro. Tra i comportamenti compulsivi più frequenti troviamo rituali di controllo (ad es. controllare più volte durante la notte se si è chiuso il gas), di lavaggio (il lavaggio delle mani ricorrente è senz’altro quello più rappresentato nella clinica), rituali con funzione scaramantica (come alzarsi dal letto poggiando per primo sempre lo stesso piede). Tra le azioni mentali a carattere compulsivo le più frequenti sono quelle di elencare numeri (o di utilizzarli in varie elaborazioni matematiche) , recitare preghiere o formule o parole, ripetere mentalmente pensieri o immagini.

Aneddotica clinica

 

Per darvi un’idea di quello che avviene nella psicopatologia del quotidiano vi riporto un paio di casi clinici. La prima è una signora sui 35 anni arrivata in clinica con una sintomatologia che la vedeva trascorre dalle 15 alle 18 ore al giorno con rituali di lavaggio, che riguardavano prevalentemente le parti intime. La paziente trascorreva gran parte della notte nella vasca da bagno, impegnata in rituali di pulizia anche nelle ore notturne, e per questa sua sintomatologia aveva dovuto rinunciare a gran parte delle attività domestiche (era mamma di due bambini ancora piccoli ed era sempre stata una casalinga molto impegnata nel suo lavoro). La sintomatologia ossessivo-compulsiva le aveva progressivamente invalidata la vita da molti mesi, togliendole la possibilità di avere qualsiasi forma di quotidianità normale. Negli anni, con una specifica terapia (sostanzialmente farmacologica), la paziente è progressivamente migliorata, pur avendo periodicamente delle ricadute, ma sempre di minore gravità e più distanziate nel tempo. Ma anche adesso che, dopo più di 20 anni di storia clinica, la signora sta abbastanza bene, è riuscita a portare avanti la famiglia nel migliore dei modi, i figli sono ormai cresciuti, sereni e senza particolari problemi, nonostante l’attuale stato di buon compenso clinico, la paziente rimane impegnata in rituali di lavaggio dalle 2 alle 3 ore al giorno. E c’è da aggiungere, relativamente a quelli che potremmo definire effetti collaterali della sua patologia ossessiva, che anche a causa dei rituali compulsivi di lavaggio, la paziente ha dovuto subire negli anni quattro interventi di prolasso rettale e 3 di prolasso vescicale.  Atro caso clinico interessante è quello di un giovane adulto di circa 30 anni visto per la prima volta un po’ di anni fa per problemi di ideazione ossessiva e rituali presenti fin dagli anni dell’adolescenza (come lavarsi le mani sempre un numero predefinito di volte, alzarsi dal letto poggiando sempre per primo il piede sinistro, contare in momenti di difficoltà serie predefinite di numeri). La prima volta che lo incontro era in una fase di scompenso caratterizzata dall’ossessione per il numero 12 (la madre era morta il 12 dicembre dell’anno prima): lui era stato preso dalla compulsione, sempre più pervasiva, di sommare/sottrarre/moltiplicare/dividere qualsiasi serie di numeri in maniera tale che il risultato fosse sempre 12, e quindi quell’oggetto andava evitato. Questa cosa succedeva con le targhe delle macchine, e quindi aveva smesso di guidare e di usare l’auto, ma anche con i codici a barre dei supermercati, quindi questo lo portava ad evitare qualsiasi tipo di cibo mostrasse un codice a barre, lasciandosi affamare.

Il disturbo ossessivo-compulsivo generalmente insorge in giovane età, intorno ai 20 anni, la maggior parte dei pazienti esordisce prima dei 25 anni. La prevalenza delle persone che soffriranno di questo disturbo nel corso della loro vita è del 2/3 %, e sembra essere presente anche una importante predisposizione familiare (l’ereditabilità è stimata intorno al 45%).

 

Esperienza e significati negli ossessivi

 

Andiamo ora ad approfondire come prende forma e su quali significati si articola la dimensione dell’esperienza dei pazienti ossessivi. Partiamo quindi dai loro pattern familiari, che spesso sembrano avere delle caratteristiche riconoscibili.

La famiglia in cui crescono gli ossessivi è spesso caratterizzata da genitori affettivamente freddi, sempre molto esigenti, senza essere emotivamente supportavi. In queste famiglie si ritrovano spesso aspetti educativi rigidi, che utilizzano a volte la violenza e l’umiliazione come metodi pedagogici, e che tendono a trattare i bambini come piccoli adulti. Nelle loro storie familiari è frequente un rapporto con le figure genitoriali caratterizzato da forte ambivalenza, con l’ evocazione di sentimenti contrastanti (come amore e odio, paura e rabbia, ammirazione e rancore), che, appunto per essere antitetici e simultanei, fanno fatica a prendere forma. La componente affettiva dell’accudimento è di regola  ‘mascherata’ da rigide regole educative e prescrizioni comportamentali (spesso incomprensibili agli occhi del bambino).

Un esempio letterario di queste modalità nell’atteggiamento genitoriale lo ritroviamo in alcune pagine di Kafka, quelle della “Lettera al padre”, scritto autobiografico del 1919, mai consegnata e pubblicata postuma nel 1952. In questo breve testo emergono aspetti salienti del suo rapporto con il genitore, come sentimenti di grande ambivalenza (amore/odio in termini di grande ammirazione e contemporaneamente rabbioso rancore per il suo modo di agire), uno schiacciante senso di inferiorità nei suoi confronti, un persistente timore di fondo per una punizione imminente, il dolore e la delusione per la mancanza di manifestazioni di affetto. “…I tuoi efficacissimi strumenti educativi, in campo oratorio, che , almeno con me, non hanno mai fallito, erano: ingiurie, minacce, ironia, risate sarcastiche e – strano a dirsi – autocommiserazione. (…)  Una volta di notte frignavo perché volevo un po’ d’acqua, certo non per sete, ma probabilmente in parte per farvi arrabbiare, in parte per divertirmi. Dopo che alcune severe minacce non erano servite a niente, mi prendesti dal letto, mi portasti sul ballatoio e mi ci lasciasti per un po’ , in camicia da notte, davanti alla porta chiusa … in seguito fui certo più arrendevole, ma ne riportai un danno interiore. Data la mia natura, non riuscii mai a stabilire il giusto nesso tra l’elemento per me ovvio del mio insensato chiedere l’acqua e quello eccezionalmente spaventoso dell’essere portato lì fuori”.

E’ una descrizione narrativa da cui emerge bene l’importante divario di significati tra la prospettiva di mondo del bambino (con la sua capricciosità e il voler richiamare l’attenzione degli adulti) e quella dell’adulto, con le sue rigide regole educative.

Il rapporto di Kafka con il padre, come emerge nelle descrizioni della “Lettera”, è paradigmatico della cifra educativa del genitore ossessivo. Questa infatti è caratterizzata da un rigido rigore educativo e da un’affettività fredda, mai empatica e comunque incapace di essere comprensiva del mondo dell’infanzia. Il bambino viene considerato non nelle sue peculiarità, ma come un adulto in miniatura. Le difficoltà del rapporto con il padre, in Kafka, le ritroviamo alla base di un profondo e onnipresente senso di colpa, non determinato da fatti reali ma profondamente radicato in termini emotivi. Ed è proprio quel vissuto di colpa, senza una attribuzione comprensibile di significati o una qualsivoglia spiegazione razionale, che in romanzi come il Processo troverà la sua espressione letteraria più matura. In questo testo, infatti, Joseph K., il protagonista, si ritroverà implicato in una schiacciante macchina processuale senza che riesca mai a venire a conoscenza dei capi d’accusa. Verrà infine condannato senza sapere mai i motivi originari delle accuse e delle sue responsabilità: è la colpa che si autolegittima. Il senso di colpa, radicato emotivamente, senza una qualsiasi spiegazione razionale, diventa un nucleo esistenziale centrale, che cristallizza l’intera esperienza del protagonista.

Tornando alle caratteristiche delle famiglie degli ossessive, l’ambivalenza è caratterizzata dal prendersi cura del figlio in maniera affettivamente distaccata, elargendo rigide regole comportamentali e punizioni con la spiegazione che tutto ciò viene fatto per il bene del bambino. “Se papà ti mena, ti umilia, ti costringe a stare chiuso nello stanzino al buio… è perché ti vuole bene!”.  In queste famiglie è frequente che il distacco affettivo sia  mascherato da atteggiamenti educativi: ad es. i genitori limitano i contatti fisici con il bambino, e si raccontano che lo fanno non perché hanno loro difficoltà a gestire la propria dimensione emotiva, ma perché questo deve essere il comportamento di un genitore ideale che non deve cedere a smancerie o debolezza per forgiare un carattere forte e sicuro di sé nel bambino. I sistemi educativi rigidi, basati di frequente sulle punizioni (anche corporali), su regole di studio pressanti e richiestive, su prescrizioni comportamentali rigide e improntate al senso del dovere (quei sistemi educativi che, in sostanza, vedono i bambini come piccoli soldatini),  hanno generalmente proprio questa funzione: punire e far soffrire il bambino oggi , perché domani possa essere un adulto capace e sicuro di sé.  In queste famiglie il livello della spiegazione , della ragione logico-discorsiva, è sempre prioritario, a scapito del livello emotivo/affettivo che generalmente non è considerato se non addirittura negato. Le manifestazioni emotive e affettive non si prestano facilmente ai sistemi educativi rigidi , in quanto sono poco controllabili, proprio in quanto maggiormente caratterizzate da spontaneità e immediatezza. Quindi tendono ad essere escluse dalla vita familiare del bambino. In queste famiglie si cerca di non incoraggiarle, non frequentarle: delle emozioni meno se ne parla e meglio è.  L’educazione ha quindi generalmente il carattere della disciplina e del rispetto di regole e sistemi formali di riferimento. E si svolge secondo parametri pratico-razionali che tengono in poca o nulla considerazione gli aspetti emotivi del bambino.

In questo modo di fare è evidente l’ ambivalenza delle figure genitoriali: cercando di essere genitori ideali si mostrano allo stesso tempo freddi e distaccati. La loro genitorialità è caratterizzata soprattutto dall’ impartire prescrizioni comportamentali e regole morali, che dovranno fare del bambino un piccolo adulto provetto. Anche il gioco viene spesso utilizzato con finalità meramente educative, povero di aspetti emotivi e più carico di aspetti pedagogici. Spesso il momento del gioco è vissuto come mera “esercitazione didattica”. L’ambivalenza della posizione genitoriale ( che esprime allo stesso tempo atteggiamenti di dedizione e interesse, e, contemporaneamente, di ostilità e  aggressività) impedisce al bambino di sintonizzarsi su stati emotivi ben delineati. Il mondo emotivo emerge spesso in maniera contraddittoria: amore/odio, riconoscenza/rancore, affetto/distacco… Queste sono emozioni contrastanti che fanno fatica a prendere forma in maniera simultanea.  E questo mondo emotivo, peraltro, è continuamente soggetto a spiegazioni di tipo logico/discorsivo da parte dei genitori, che ne disconfermano la radice emotiva originaria. Non è importante quello che il bambino prova, la sua esperienza emotiva delle situazioni, ma la sua comprensione logico-razionale delle cose. E il livello della spiegazione logico-discorsiva serve anche a tenere lontano il mondo dell’immediatezza e della spontaneità della vita emotiva. Un esempio può essere quello del bambino, figlio di un astrofisico, che chiede al papà in una notte di plenilunio cos’è “quella grande palla luminosa che si vede in cielo”, e il papà risponde con uno ‘spiegone’ sull’importanza dei pianeti satelliti e la loro influenza sui fenomeni della terra e delle maree. O ancora quello riportato da una mia paziente, il cui marito ossessivo alla figlia di 9 anni che gli chiedeva cos’era quella piantina vista sul davanzale di un’amica, aveva tirata giù una spiegazione sul mondo vegetale “che sembrava una puntata di quark”.  In questi casi viene da sé che, in queste famiglie,  le dimensioni cognitive del pensiero razionale e logico-formale saranno naturalmente più sviluppate, a scapito delle competenze emotive, che saranno inevitabilmente penalizzate. Il mondo emotivo del bambino sarà quindi caratterizzato da emozioni originarie spesso discrepanti (come amore/odio, riconoscenza/rancore…) che difficilmente riescono ad essere integrate, e quindi riconosciute, lasciando invece spazio ad emozioni più mediate e riflessive, quali la colpa, l’imbarazzo, la vergogna.  Infatti queste emozioni, come la colpa e la vergogna, che si definiscono valutative, sono emozioni molto “mentalizzate”, con una ridotta componente sensoriale. Diciamo che sono più emozioni “di testa” che “di pancia”. Sono emozioni dette valutative in quanto si riferiscono al sentirsi più o meno adeguati rispetto all’altro o ad un sistema di regole o precetti presi come riferimento. Ad es. essere un bravo studente, o un bravo soldato, o un bravo credente, comporta aderire completamente a determinate regole e precetti, e quando questo non avviene la colpa e la vergogna sono le emozioni con le quali l’individuo si dovrà più frequentemente confrontare. Naturalmente i temi di colpa o di vergogna possono prendere le forme più varie, come il caso di una giovane ossessiva che in coincidenza con una separazione conflittuale dei genitori si sentiva divisa a metà, come “due personalità completamente diverse che stanno una di fronte all’altra…” con grandi sensi di colpa perché una delle due amava sua madre, e l’altra era arrabbiata con lei e non le voleva bene:  “la mia più grande paura è quella di non voler più bene alle persone care”. I suoi sentimenti verso le figure genitoriali erano caratterizzati da sentimenti concomitanti e contrastanti di amore e rabbia (rabbia per la separazione e per le modalità con le quali era avvenuta).  Non riuscendo ad integrare emozioni così discrepanti tra loro, l’emotività della paziente prendeva la forma di immagini intrusive di lei che “si rasava i capelli a zero e diventava maschio” (il tema della rabbia e del rancore nei confronti dei genitori era sotto traccia). Il vissuto della colpa può mascherare spesso temi di inadeguatezza, come nel caso della giovane mamma che dopo la nascita del suo primo figlio, sentendosi inadeguata e non all’altezza del suo nuovo ruolo genitoriale, presentava le immagini intrusive di lei che getta il bambino dalla finestra: sintomatologia che non faceva che aumentare i sensi di colpa e i vissuti di inadeguatezza.

Man mano che si passa dall’infanzia all’adolescenza all’età adulta diventa sempre più evidente uno scollamento tra la dimensione emotiva, percepita in termini di attivazione indifferenziata e indistinta, e quella cognitiva, più caratterizzata in termini di pensiero logico/razionale, che è generalmente più coltivata e sviluppata. E questo spiega la centralità della dimensione intellettuale e riflessiva nel mantenimento della propria identità. La dicotomia tra immaginazione e pensiero, emozione e razionalità sarà un filo conduttore fondamentale nella costruzione della prospettiva del mondo degli ossessivi. Per loro infatti sarà fondamentale restare sempre nell’ambito di una delle due dimensioni (quella della razionalità), perché appena si sbaglia ci si ritrova nella dimensione opposta: quella del terreno sconosciuto e ‘infìdo’ delle emozioni. E questo per loro è un bel problema: sanno che lì giocano una partita per la quale sono sguarniti, dove hanno molte probabilità di uscire perdenti. Da questa necessità di mantenersi sempre sul terreno della razionalità, e da questa visione rigidamente dicotomica, si comprendono alcune caratteristiche psicologiche distintive degli ossessivi, come il perfezionismo, il dubbio assiduo e sistematico sulle proprie scelte, il continuo procrastinare nel prendere delle decisioni. Tutti atteggiamenti comprensibili alla luce del non potersi permettere di sbagliare. Il loro perfezionismo è generalmente determinato dalla continua ricerca di adesione ad un sistema impersonale di regole, di procedure, di ordine, al quale sarà necessario corrispondere per garantire una propria stabilità personale. A volte questi sistemi sono anche codificati socialmente (come negli ordini religiosi o nella vita militare) e definiscono vere e proprie regole di vita quotidiana.

 

L’ ideale etico

 

Non so se ricordate il film Quel che resta del giorno (film di James Ivory tratto dal romanzo omonimo dello scrittore nippo-britannico Kazou Ishiguro). La storia era centrata sul personaggio di Mr Stevens, l’ impassibile maggiordomo di una sontuosa dimora nella campagna inglese, completamente dedito al suo lavoro e alla fedeltà al suo padrone, Lord Darlington, che rappresentava, nell’Inghilterra degli anni ’30, la figura dell’aristocrazia britannica che simpatizzava con il nazismo. E in questa totale dedizione verso una concezione etica del suo lavoro, si accorge, una volta anziano, di aver sacrificato la sua esistenza, le gioie, i dolori , i sentimenti (quelli che aveva provato all’arrivo della giovane governante Miss Kenton, per la quale aveva mostrato una inaspettata attrazione), insomma di aver messo da parte gran parte delle sue possibilità di esistenza per un ideale di vita astratto, quella del maggiordomo impeccabile e irreprensibile. Emblematica, da questo punto di vista, la scena in cui riceve la notizia della morte del padre, che avveniva al piano superiore, continuando impassibile a servire in un sontuoso banchetto. Una citazione del film che esemplifica abbastanza bene quanto detto è nelle parole che Mr Stevens pronuncia verso Miss Kenton in uno dei loro primi incontri:  “Permettetemi di formulare la cosa in questo modo: la dignità, in un maggiordomo, ha a che fare, fondamentalmente, con la capacità di non abbandonare mai il professionista nel quale si incarna”. E nella misura in cui il racconto di una vita si era basato sull’identificazione verso un ideale astratto e impersonale, si era infine rivelato sterile e lo aveva reso il triste protagonista di una vita povera di eventi personali (anche se, per contrasto, era stata vissuta tra eventi e personaggi storici di grande importanza che l’avevano attraversata). E quindi vissuta come inautentica.

 

La visione dicotomica del mondo

 

La modalità di fare esperienza del mondo negli ossessivi è spesso caratterizzata da un rigido complesso di regole e sistemi astratti a cui aderire (la religione, la legge, la scienza, la morale, i comportamenti etici, gli ideali di vita…), e la propria condotta è valutata in base all’aderenza a tali sistemi. Per loro saranno centrali, come si diceva prima, le emozioni cosiddette valutative (quali la colpa, la vergogna, l’imbarazzo), quelle che si provano in relazione alla valutazione e al giudizio che si coglie nell’altro, o che ci si autoattribuisce in relazione all’aver aderito o meno ai propri sistemi di regole. Per es. per un parroco l’emozione suscitata dall’essere attratto da una giovane donna in confessionale, viene immediatamente letta come ‘colpa’, piuttosto che come attrazione sex. Proviamo ad approfondire meglio il tema delle emozioni valutative, e in particolare della colpa, con un altro riferimento letterario. Avevamo già ritrovato il vissuto della colpa in diversi passaggi della vita e delle opere di Kafka. Un tema biografico analogo lo troviamo in Soren Kierkgaard, filosofo e scrittore danese, nel quale il tema della colpa è addirittura trans-generazionale: aveva attanagliato già il padre prima di lui, che si sentiva colpevole per essere stato uno blasfemo bestemmiatore quando era ancora un povero pastorello, prima di diventare un ricco commerciante. E questo tema era stato  rafforzato nel padre da una sorta di temuta punizione divina: 5 dei suoi 7 figli maschi sarebbero morti in giovane età. E Soren, ultimogenito, verrà avviato agli studi di teologia. Kierkgaard è interessante in quanto riesce a formalizzare in termini filosofici uno degli argomenti più cari agli ossessivi: la visione dicotomica del mondo. Il fatto che le cose vengano prevalentemente viste in bianco o in nero, senza una scala dei grigi, secondo appunto la logica binaria della razionalità, quella per cui se una cosa non è vera, è falsa. In Kierkgaard questa logica dicotomica assurge a sistema filosofico: la dimensione esistenziale dell’uomo è caratterizzata dal trovarsi incessantemente nella condizione di dover fare delle scelte, e quindi l’esistenza è descritta in termini di scelte radicali, di Aut-Aut, come recita il titolo di una delle sue opere più conosciute. In questa lui descrive due modalità antitetiche di esistenza: da una parte la dimensione estetica del Don Giovanni, di chi vive costantemente immerso nella soddisfazione dei sensi, del qui ed ora, in una sorte di eterno presente volto al soddisfacimento immediato delle passioni. Dall’altra la vita etica, impersonata dal consigliere Guglielmo, che vive secondo un progetto che è costituito, in maniera più evidenta, da un passato, un presente e un futuro (dimensione esistenziale quindi completamente diversa dall’ immediatezza del Don Giovanni). E in questo si proietta con i suoi doveri e le sue responsabilità, che sono rivolte verso la moglie, la famiglia, i suoi incarichi professionali. O si sta da una parte o si sta dall’altra, inevitabile la scelta. Quindi va da sé come sia inevitabile sentirsi spesso e volentieri dalla parte ‘sbagliata’ del mondo, in un’esistenza inadeguata rispetto ad un sistema così rigidamente preordinato e a delle griglie interpretative così ristrette. La dialettica di Kierkeegard, come direbbero i filosofi, è una dialettica disgiuntiva: o si è una cosa o si è un’altra, manca il momento della sintesi. Noi lo citiamo perché è questo tipo di dialettica che permea la visione del mondo degli ossessivi: una visione del mondo strutturalmente dicotomica, in bianco e nero senza lasciare spazio ai grigi. E in base a questa dialettica,  nel momento in cui non riesco a sentirmi parte di un sistema formale di valori, diventa inevitabile cadere nell’angoscia, nella sofferenza e nella patologia, dove il senso del peccato, della colpa e della vergogna diventano emozioni costitutive del senso di sé, dalle quali fuggire o nelle quali naufragare. Da questa prospettiva gli aspetti sintomatologici cardini degli ossessivi, le ossessioni e le compulsioni, possono essere visti come una modalità attraverso la quale pezzi importanti della propria esperienza, aspetti emotivi che il paziente non riesce ad integrare e quindi a riconoscere, emergono con tutta la loro irruenza e con un carattere di estraneità rispetto alle consuetudini di una esperienza di sé caratterizzata invece da una dimensione prevalentemente logico-discorsiva e iper-razionale. E sono questi aspetti emotivi non riconosciuti come propri (spesso legati a temi di rabbia, di aggressività o a tematiche sessuali) che possono dar forma ad una psicopatologia caratterizzata da immagini o pensieri che fanno irruzione, come elementi intrusivi, nella vita mentale della persona. E che deve quindi ricorrere a rituali o comportamenti compulsivi come estremo tentativo di tenere sotto controllo tali attivazioni emotive. Sotto l’egida di una razionalità difensiva. Infatti emozioni in particolare come quelle legate alla rabbia e alla sessualità, rappresentando un dominio emotivo abbastanza problematico da afferrare razionalmente (come ben possiamo immaginare), e quindi anche molto difficile da controllare, costituiscono tra i momenti più a rischio di emergenza psicopatologica per i pazienti ossessivi. In questo senso l’intrusione dell’idea ossessiva rappresenta l’irruzione di un evento emotivo importante e discrepante rispetto al senso di sé nel quale l’ossessivo si riconosce. Ad esempio la mamma centrata su un’immagine di mamma ‘perfetta’, cui non è concesso di provare sentimenti negativi, come ad es. la rabbia nei confronti del bambino neonato che la sveglia 20 volte a notte (perché lui è un neonato e piange), e lei dopo le prime settimane inizia ad avere le immagini intrusive di gettare il bambino fuori dalla finestra, immagini che naturalmente non riesce a riconoscere come proprie. Quindi tende a viverle con senso di ansia e angoscia, in quanto la mandano di colpo nell’altra parte del mondo dove non vorrebbe mai stare, quella delle emozioni, che per loro natura sono ineludibili e inevitabili, che possono prendere forma e consistenza nonostante i nostri tentativi di respingerle e di controllarle: io non posso impedirmi di avere paura, o di provare rabbia o attrazione sessuale. Se l’emozione mi afferra io posso solo imparare a gestirla, ma per far questo devo prima riconoscerla, ed è proprio sul riconoscimento delle emozioni che gli ossessivi hanno il loro tallone d’Achille. E quello che non riconoscono lo vivono come qualcosa di estraneo, come ad es. l’immagine intrusiva di lei che scaraventa il bambino fuori dalla finestra. E tanto più la mamma è angosciata tanto più il bambino piange, e così via, in un drammatico circolo vizioso.

Per concludere spero di aver dato un qualche saggio di quella ‘certa idea di mondo’ degli ossessivi, delle loro prospettive e delle loro peculiarità nel modo di vivere l’ esperienza. Sottolineando come tra le rigidità di un impeccabile maggiordomo degli anni ‘30, la visione del mondo dicotomica di un filosofo dell’esistenza e le criticità di un paziente con una sintomatologia ossessiva, ci possa essere una sorta di continuità e una certa condivisione di significati.

 

 

Bibiografia

 

Arciero  GP,   Studi e dialoghi sull’identità personale,  Bollati Boringhieri, 2002

Arciero GP,   Sé, identità e stili di personalità,  Bollati Boringhieri,  2012

Guidano V,   Il Sé nel suo divenire,   Bollati Boringhieri,  1992

Guidano V,   La psicoterapia tra arte e scienza,  Franco Angeli,  2008

Ishiguro K,  Quel che resta del giorno,  Einaudi,  1990

Kafka F,    Lettera al padre , Mondadori ,  1972

Kierkgaard  S,  Enten-Ellen,  Adelphi,  1976-1989

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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