L’ipotesi che vede la depressione come un disturbo che riguarda la neurogenesi (cioè la formazione di nuovi neuroni) e la neuroplasticità cerebrale (cioè la costituzione di nuove sinapsi, di nuove spine dendritiche, un allungamento della sopravvivenza dei neuroni, un incremento di fattori di crescita dei neuroni) inizia ad essere formulata alla fine degli anni 90 e si basa sostanzialmente su una serie di osservazioni più volte confermate dalla letteratura scientifica.
I dati della letteratura possono essere sintetizzati sostanzialmente in tre argomenti:
1) condizioni di stress riducono la formazione di nuovi neuroni a livello della regione dell’ippocampo e la plasticità neuronale a livello della corteccia prefrontale (PFC). Al contrario è stato dimostrato che la maggior parte dei trattamenti con antidepressivi stimola la proliferazione di nuove cellule ippocampali e i fenomeni di neuroplasticità, e lo stesso trattamento antidepressivo previene l’impoverimento neuronale determinato da situazioni di stress cronico.
2) lo studio della morfologia dell’ippocampo in pazienti depressi ha evidenziato una riduzione del volume, così come dati analoghi sono stati evidenziati nella corteccia prefrontale
3) diverse sostanze che sono ritenute marcatori di neuroplasticità (cioè delle spie di un’azione di riparazione e crescita delle cellule neuronali) hanno mostrato di essere incrementate dall’utilizzo di farmaci antidepressivi (su questo c’è molta letteratura che riguarda il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), fattori di trascrizione che regolano la sintesi di sostanze neurotrofiche, come il CREB, secondi messaggeri come la protein-kinasi A (PKA) o l’ cAMP)
Numerosi modelli animali di depressione (come la somministrazione di stimoli stressanti imprevedibili, la bulbectomia olfattiva, la deprivazione di cure materne) hanno evidenziato una riduzione della proliferazione cellulare e del volume dell’ippocampo, in particolare a livello del giro dentato, una delle formazioni ippocampali. Tale riduzione della neurogenesi ippocampale viene generalmente ripristinata dopo trattamento con antidepressivi (AD). L’alterazione della neurogenesi ippocampale non spiega completamente ciò che può avvenire in un quadro clinico complesso e articolato come quello del disturbo depressivo, ma si ritiene rappresenti una evidenza di alterazioni più profonde della neuroplasticità presenti nei quadri depressivi e che mostrano di regredire dopo trattamento farmacologico. Un incremento della produzione neuronale ippocampale è stato dimostrato con l’utilizzo di molti antidepressivi, ma anche di stabilizzanti dell’umore come il litio, e di farmaci che bloccano il recettore 5-Ht2 della serotonina. In questi casi l’azione antidepressiva è stata correlata a: 1) incremento della proliferazione ippocampale, 2) incremento della arborizzazione dendritica (capacità di creare nuove sinapsi), 3) incremento della maturazione e integrazione funzionale dei nuovi neuroni. Da questo punto di vista la serotonina sembra avere un ruolo importante nei fenomeni di neurogenesi e neuroplasticità ippocampale e corticale, e la maggior parte dei suoi recettori(in particolare i 5-Ht1a, i 5-Ht2a, i 5-Ht4 e i 5-Ht6) hanno mostrato una significativa attività in questo senso. Ad es. il recettore 5-Ht1a ha dimostrato, in molta letteratura scientifica, una forte correlazione con la produzione di Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), fattore di crescita neuronale, in seguito al trattamento con antidepressivi. Questi dati, più volte replicati in letteratura, starebbero a dimostrare che quei miglioramenti clinici, a volte sorprendenti, che vediamo dopo 2/3 settimane di trattamento farmacologico in un paziente depresso, avrebbero un corrispettivo molto più profondo del semplice miglioramento comportamentale, e sarebbero sottesi da un’attività neocostitutiva e trofica del tessuto nervoso, fondamentale per permettere al nostro organismo di riparare i danni e recuperare un suo equilibrio. La depressione a questo punto non sarebbe solo una patologia dell’anima, della psiche, ma affonderebbe le sue radici in un deficit biologico strettamente legato alla perdita e all’impoverimento neuronali.
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