La necessità di fare switching (cioè di cambiare farmaco per necessità cliniche) da un antipsicotico all’altro è un’evenienza spesso richiesta nella pratica clinica, considerndo anche che i pazienti in questione hanno la necessità di portare avanti le loro terapie farmacologiche per molti anni. In media, considerando un periodo di un anno, circa il 30% dei pazienti con diagnosi di schizofrenia è oggetto di switch tra antipsicotici (Faries DE et al, 2009). In genere una delle cause più frequenti per cambiare un farmaco antipsicotico è la scarsa aderenza ad un trattamento da parte del paziente, anche se possono esserci altre ragioni che giustificano una tale scelta. Consideriamo comunque che, ogni volta che si decide uno switch di farmaci, bisogna mettere in conto tutta una serie di eventi clinici, dovuti all’interruzione della vecchia terapia e alla introduzione della nuova, che comprendono possibili miglioramenti terapeutici ma anche rinuncia agli effetti già ottenuti, possibile insorgenza di nuovi effetti collaterali e relative difficoltà, incertezza sugli esiti clinici.
Le indicazioni per lo switch di farmaci antipsicotici si possono raggruppare in 3 principali categorie: la mancanza di una significativa risposta terapeutica, la comparsa di effetti collaterali non tollerati dai pazienti, motivazioni minori (possibili richieste dei pazienti o dei loro familiari, razionalizzazione dei dosaggi o dei costi) (Bernardo M, Vieta E et al, 2011). Vediamo di approfondire questi argomenti.
Indicazioni per lo switch di farmaci antipsicotici per pazienti con diagnosi di schizofrenia o disturbo bipolare.
Scarsa risposta al trattamento
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ricadute con episodi acuti nonostante una buona aderenza al trattamento
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persistenza di sintomatologia positiva o negativa
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persistenza di sintomi legati all’umore o impairment (deficitarietà) cognitiva
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poco o nessun miglioramento nel funzionamento psicosociale
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ricadute o instabilità clinica dovute alla scarsa aderenza al trattamento
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il sopraggiungere di un elevato rischio suicidario nonostante una adeguata terapia antipsicotica (in questi casi valutare lo switch a clozapina)
Intolleranza verso gli effetti collaterali
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severità degli effetti avversi
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effetti avversi che minacciano la non aderenza al trattamento
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aggravamento di condizioni mediche a causa della terapia antipsicotica
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gli effetti avversi sono aumentati da specifiche interazioni farmacologiche
Richiesta dei pazienti o dei loro care-givers
Altro
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riduzione dei costi della terapia
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semplificazione dello schema di assunzione
Nonostante i risultati raggiunti dalle attuali terapie antipsicotiche, a volte i risultati della loro efficacia clinica sono insoddisfacenti, determinando dei sintomi residui che pesano sulla qualità di vita dei pazienti. In questi casi è opportuno considerare lo switch verso un farmaco alternativo, in particolare quando: vengano esclusi fattori clinici potenzialmente associati con la povertà della risposta (problemi di errata diagnosi, inadeguatezza dei dosaggi e della durata del trattamento, scarsa aderenza agli schemi terapeutici); l’adeguamento del dosaggio per un periodo di tempo sufficiente non ha data i risultati sperati; un ulteriore aumento del dosaggio o l’aggiunta di altri farmaci in add-on sarebbe controindicato; frequenti ricadute del paziente nonostante l’aderenza al trattamento (Roussidis A et al, 2013). Quindi in definitiva prima di procedere ad uno switch di farmaco antipsicotico bisogna esser certi che il trattamento pre-switch sia stato congruo per dosaggi, indicazioni, durata nel tempo e aderenza alla terapia.A volte il cambiamento di una terapia è richiesto dal paziente o dai familiari sulla base di cattiva informazione, pregiudizi su eventuali effetti avversi di un farmaco, sottovalutazione della gravità di un quadro clinico, atteggiamenti di negazione riguardo la propria patologia. In questi casi è importante dare ai pazienti e ai loro familiari quante più informazioni possibili sulla necessità e adeguatezza di una terapia farmacologica, rendendoli partecipi dei passi terapeutici che si andranno a fare.** Bisogna comunque considerare che lo switch da una terapia antipsicotica ad un’altra comporta sempre il rischio di una riesacerbazione di una sintomatologia psicotica acuta, quindi andrebbe effettuata sempre dietro esigenze cliniche precise. In uno studio di qualche anno fa su un campione di più di 600 pazienti, quelli che andavano incontro a switch (circa 1/3) determinavano un aumento dei costi diretti di assistenza (considerati in termini di maggiore ospedalizzazione e maggiore utilizzo dei servizi) di circa 3000 $ a paziente per anno (Faries ED at al, 2009) Le procedure per lo switch da un antipsicotico ad un altro le possiamo riassumere in questi quattro punti:
A) Prima di effettuare lo switch
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identificare gli elementi che rendono necessario lo switch
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valutare la capacità del paziente di seguire le procedure di switching e il livello di supporto dei caregivers
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assicurarsi che tutti i responsabili della terapia del paziente siano consensienti sulla necessità di switching ad altro antipsicotico; eventualmente essere preparati a sfatare miti o pregiudizi, o prestare attenzione ad aspettative irrealistiche
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identificare tutte le potenziali interazioni farmacologiche (possono essere d’aiuto gli strumenti messi a disposizione sul web)
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stabilire strategie d’intervento per gestire eventuali esacerbazioni cliniche che possono comparire durante lo switch
B) Selezione di un appropriato antipsicotico post-switch
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identificare la resistenza al trattamento e/o la presenza di rischio suicidario (in questo caso prendere in considerazione lo switch con clozapina)
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valutare i livelli di aderenza al trattamento (in caso di scarsa aderenza valutare la possibilità di ricorrere a formulazioni iniettabili long-acting)
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considerare possibili effetti avversi e interazioni farmacologiche clinicamente significative
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considerare il possibile impatto del farmaco su condizioni mediche preesistenti
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valutare la semplicità di schema terapeutico e uso del farmaco, così come la disponibilità e reperibilità dello stesso
C) Selezionare appropriate strategie di switch
D) Follow-up post-switch
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incrementare le visite di controllo durante il primo periodo del post-switch
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mostrarsi disponibili a prestare attenzione a problemi che possono manifestarsi durante lo switch
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considerare gli obiettivi stabiliti durante la fase pre-switch e valutare ad ogni controllo gli eventuali progressi conseguiti rispetto a questi obiettivi
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Prestare attenzione a questi passaggi aiuterà a condividere le ragioni e gli obiettivi realistici dello switch, gestire meglio possibili complicazioni, e rendere i pazienti più partecipi e responsabili dell’intero processo.Comunque non ci sono molti studi che supportano l’utilità di switching da un antipsicotico ad un altro nel migliorare l’efficacia clinica di una terapia. Infatti, fatta eccezione per la clozapina nella schizofrenia-resistente al trattamento, l’efficacia clinica degli antipsicotici di prima e seconda generazione si è dimostrata più o meno sovrapponibile, e quello che differenzia le varie molecole sembra essere soprattutto la possibilità d’insorgenza di effetti collaterali che, soprattutto per gli antipsicotici di seconda generazione, sembrano avere una specificità di classe e di molecole (ad es. gli antipsicotici di prima generazione danno molto più frequentemente effetti extra-piramidali, mentre quelli di seconda generazione determinano con maggiore probabiltà la sindrome dismetabolica) (Tandon R, 2011). In questo senso una buona strategia dovrebbe essere quella di sostituire un farmaco poco tollerato per alcuni specifici effetti avversi con un’altra molecola caratterizzata da effetti avversi molto diversi dalla precedente (in modo tale da aumentare l’aderenza al trattamento da parte del paziente). Da valutare anche i fattori di farmacocinetica nel passaggio tra due antipsicotici, ad es l’utilizzo di farmaci che vengono metabolizzati soprattutto a livello dell’isoenzima 2D6 del citocromo p450 (come il risperidone, l’aripiprazolo, metabolizzato anche dal 3A4, e, in misura minore l’olanzapina), può dare problemi di sovradosaggio se concomitante (o subito successivo) a farmaci potenti inibitori di tale isoenzima (come l’aloperidolo, la clorpromazina, l’ac.valproico, la paroxetina, la sertralina, la fluoxetina). In questi casi sarebbe meglio utilizzare antipsicotici metabolizzati dall’isoenzima 3A4 del cit. P450 (come la clozapina, la quetiapina, o lo ziprasidone) (in questi casi da evitare l’associazione con la carbamazepina che è un potente induttore dell’isoenzima 3A4 e ne ridurrebbe fortemente la concentrazione plasmatica; e da valutare con attenzione l’associazione con la fluvoxamina, potente inibitore del 3A4, con possibile esito in sovradosaggio). Da considerare che l’ antipsicotico di seconda generazione che mostra meno interazioni significative con il citocromo p450 è il paliperidone (Meyer J, 2007; Urichuk L et al, 2008), anche se uno studio recente ne dimostra una significativa riduzione delle concentrazioni plasmatiche nell’associazione con carbamazepina (Yasui-Furukori N et al, 2013).Rispetto alle modalità di switching si possono considerare tre strategie che possono dimostrarsi appropriate in circostanze diverse (Correll CU, 2006; Weiden PJ et al,2007; Buckley PF and Correll CU, 2008):
A) Abrupt discontinuation (sospensione immediata dell’antipsicotico pre-switch, con introduzione contestuale del nuovo antipsicotico a dosaggi clinici efficaci)
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i vantaggi di questa strategia sono quelli della rapidità d’azione, della semplicità di attuazione con basso rischio di errore procedurale, basso rischio di effetti avversi additivi tra più farmaci antipsicotici, basso rischio di interazioni farmacologiche
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gli svantaggi si manifestano soprattutto nell’alto rischio di effetti avversi conseguenti alla sospensione brusca delle precedente terapia
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andrebbe effettuato quando è necessaria una sospensione dell’antipsicotico pre-switch con una certa urgenza per la comparsa di effetti avversi importanti (ad es. in caso di agranulocitosi); quando i pazienti assumono dosaggi insufficienti di antipsicotico pre-switch; quando non c’è una storia di importanti riesecarbazioni psicotiche alla sospensione della terapia; quando non c’è il rischio della comparsa di impotanti manifestazioni extra-piramidali rebound; con pazienti che assumono antipsicotici iniettabili long-acting
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andrebbe evitato nello switch da clozapina (a meno che la sospensione non sia dovuta alla comparsa di effetti avversi gravi), così come da altri antipsicotici con effetti anticolinergici significativi, per evitare l’insorgenza di una sindrome colinergica rebound
B) Cross-tapering (riduzione progressiva del farmaco pre-switch, in misura del 25-50% dei milligrammi per giorno per ogni 4 o 5 durata di emivita, contestuale all’inserimento progressivo e alla titolazione del nuovo farmaco; l’antipsicotico pre-switch sarà quindi sospeso quando il nuovo antipsicotico avrà raggiunto il suo dosaggio terapeutico)
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i vantaggi sono quelli di un minor rischio di ricadute o riesacerbazioni della sintomatologia psicotica durante lo switch
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gli svantaggi sono quelli di avere una finestra temporale in cui le dosi terapeutiche possano essere temporaneamente inadeguate
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la scelta tra ospedalizzazione e pratica ambulatoriale andrebbe fatta in base alla rapidità del cross-tapering e delle condizioni cliniche del paziente
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questa strategia di switch si rivela appropriata per la maggior parte delle situazioni cliniche: per i pazienti gravi (severe illness) che si sono mostrati difficili da stabilizzare; nei casi in cui l’antipsicotico pre-switch ha significative proprietà sedative (in questi casi il tapering dell’antipsicotico può ridurre il rischio di crisi d’ansia, insonnia, agitazione); quando l’antipsicotico pre-switch ha significative proprietà anti-colinergiche (come il caso della clozapina, in questi casi un tapering protratto per un periodo di 1 o 2 settimane può evitare sintomi colinergici rebound come: confusione, ansia, irrequietezza, nausea, vomito, mialgia, sintomi extrapiramidali, sudorazioni)
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andrebbe evitata quando è richiesto uno switching urgente per l’insorgenza di effetti collaterali severi
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C) Overlap and discontinuation (sovrapposizione dei due farmaci per alcuni giorni, l’antipsicotico pre-switch sarà mantenuto a dosaggio pieno durante la titolazione del nuovo antipsicotico; una volta che il nuovo antipsicotico è portato al dosaggio terapeutico si inizia la riduzione progressiva (tapering) dell’antipsicotico pre-switch)
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i vantaggi sono dati dal più basso rischio di ricadute o riesacerbazioni della sintomatologia psicotica durante lo switch e del più basso rischio di effetti avversi acuti da sindrome da sospensione
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gli svantaggi sono rappresentati dal più alto rischio di effetti avversi da interazioni farmacologiche e politerapia
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questa strategia di switch si rivela appropriata per pazienti che sono stati stabilizzati di recente ma richiedono uno switching ad altro antipsicotico; si può considerare la strategia più sicura per i pazienti con alto rischio di ricadute
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anche questa strategia andrebbe evitata quando è richiesto uno switching urgente per l’insorgenza di effetti collaterali severi.
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La scelta di una di queste strategie andrà fatta sulla base delle situazioni cliniche specifiche: in generale nella situazioni d’urgenza si favorisce la abrupt discontinuation o una cross-tapering molto rapida (dell’arco di pochi giorni), come ad es. può essere necessario per l’insorgenza di agranulocitosi con l’utilizzo della clozapina. D’altra parte quando è prevalente il rischio di riesacerbazioni psicopatologiche, o comunque quando non c’è un’urgenza di switching, è preferibile un “cross-tapering” più lento (anche 4-8 settimane) o un “overlap and discontinuation”.
Switch da clozapina.
Lo switch da clozapina ad altro antipsicotico risulta uno dei più problematici a causa di rischi accentuati di: sindome da sospaensione, riesacerbazione psicotica, sintomatologia extrapiramidale, e anche una possibile successiva interferenza con una buona risposta ad altri antipsicotici (Weieden PJ et al, 1997; Fakra E e Azorin JM, 2012; Goudie AJ et al, 2008). Quindi quando è necessario lo switching ed è possibile farlo non in condizioni di urgenza, sarebbe opportuno rispettare le seguenti indicazioni:
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bisognerebbe fare una riduzione graduale della clozapina (riduzione di 50mg/settimana), anche se alcuni autori raccomandano anche riduzioni più graduali di 25mg/settimana (Zimbroff DL, 1995, Lin CC et al, 2013)
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dovrebbero essere prevenuti i sintomi anticolinergici rebound
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secondo alcuni autori, se la causa della sospensione è l’insorgenza di agranulocitosi, bisognerebbe evitare di inserire neurolettici con profilo recettoriale affine (bisognerebbe evitare pertanto lo switch con olanzapina o quetiapina (Edlinger M, 2005). Se invece la ragione dello switch non è la agranulocitosi è preferibile inserire un antipsicotico con profilo recettoriale simile.
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i controlli ematologici dovrebbero essere continuati per almeno 3/4 settimane dopo la sospensione
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bisognerebbe impiegare cautela nello switch per overlapping con aloperidolo, clorpromazina o levopromazina che sono potenti inibitori dell’isoenzima 2D6, principale via di metabolizzazione della clozapina.
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Switch per ridotta efficacia
Nel caso di una dimostrata scarsa efficacia di una terapia antipsicotica, uno degli studi più importanti effettuato sull’argomento (il CUtLASS) non ha evidenziato significative differenze tra antipsicotici di prima e di seconda generazione in termini di qualità della vita, efficacia, o tollerabilità (Jones PB et al, 2006; Naber D et Lambert M, 2009). In altri studi, quando l’efficacia era valutata in termini di rischio di interruzione del trattamento in pazienti schizofrenici, si evidenziava una certa superiorità per l’olanzapina e, in minor grado, per il risperidone (Komossa K et al, 2011; Stroup TS et al, 2006). Comunque l’unico farmaco che ha mostrato una superiore efficacia rispetto agli altri antipsicotici atipici nel trattamento della sintomatologia positiva della psicosi è stato la clozapina (Lewis SW et al, 2006; Asenjo Lobos C et al, 2010). Per quanto riguarda invece la sintomatologia negativa della schizofrenia l’antipsicotico che ha dimostrato una maggiore efficacia, oltre alla clozapina, è l’amisulpiride a bassi dosaggi (50-300mg/die) (Pani L et al, 2008).
Switch per problemi di tollerabilità
Nel caso di switch per insorgenza di una sintomatologia extra-piramidale uno dei farmaci più supportati dalla letteratura è la quetiapina, che migliora in maniera significativa il parkinsonismo e l’acatisia, ma non la discinesia tardiva (Cortese L et al, 2008). In caso di discinesia tardiva il neurolettico che dovrebbe essere considerato di prima scelta è la clozapina (Hazari N et al, 2013).
Gli antipsicotici maggiormente associati con significativo aumento del peso corporeo sono olanzapina e clozapina più degli altri, ma anche quetiapina e perfenazina (Rosenheck et al, 2009). Invece hanno sicuramente un minor impatto sull’aumento ponderale aripiprazolo e ziprasidone, e la flufenazina tra gli antipsicotici di prima generazione.
Riguardo alla possibile insorgenza di diabete mellito, i farmaci da considerare per lo switch sono sicuramente aripiprazolo e ziprasidone, associati con un più basso rischio di complicazioni metaboliche (Deng C, 2013, Citrome L et al 2014). Inoltre sembra che gli antipsicotici di prima generazione siano associati con un più basso rischio di sindrome metabolica rispetto a quelli di seconda generazione (Smith M et al, 2008).
Nell’insorgenza di iperprolattinemia i farmaci di prima scelta per lo switch sarebbero aripiprazolo, clozapina e quetiapina, e come seconda scelta si dovrebbe considerare l’inserimento di olanzapina (Byerly M et al, 2007; Bernardo M et al ,2011).
Nel caso di insorgenza di disfunzioni sessuali quetiapina, olanzapina, ziprasidone e aripiprazolo dovrebbero essere considerati come le migliori possibilità di switch.
Nel prolungamento del QTc l’antipsicotico più indicato per lo switch dovrebbe essere aripiprazolo (Ries R e Sayadipour A, 2014).
Switch con formulazioni long-acting
Qualche considerazione finale meritano gli switch con le formulazioni iniettabili long-acting. Lo switching da una formulazione orale ad una long-acting è abbastanza semplice da praticare, la principale cosa da considerare è la buona tollerabilità della forma orale prima di iniziare la somministrazione long-acting. Nel caso del risperidone la formulazione orale dovrebbe essere continuata per almeno 3 settimane dopo la prima iniezione della formulazione long-acting, ma spesso si è visto che è meglio protrarla per periodi più lunghi, di 4-6 settimane, per garantire una buona stabilità clinica (Love RC et Conley RJ, 2004). Invece i pazienti che effettuano switch verso la forma long-acting di paliperidone e olanzapina, possono interromperne l’assunzione orale dopo la prima somministrazione iniettiva (Detke HC et al, 2011) Per quanto riguarda la formulazione long-acting dei neurolettici di prima generazione (aloperidolo e flufenazina), la somministrazione per via orale del farmaco deve essere continuata per 5 giorni dopo la prima iniezione, e in seguito la dose orale può essere progressivamente ridotta e sospesa. Quando è necessario lo switch da una formulazione long-acting ad una orale, il nuovo antipsicotico può essere introdotto immediatamente e titolato rapidamente, senza necessità di dosi addizionali dell’antipsicotico pre-switch. Un somministrazione iniettiva addizionale può essere necessaria quando l’inizio del nuovo antipsicotico per os è molto vicino nel tempo alla successiva iniezione long-acting da schema terapeutico.
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