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Circa un quinto delle donne soffre di depressione durante il periodo della gravidanza, e una percentuale analoga svilupperà un episodio depressivo importante nei primi tre mesi dopo il parto. Tuttavia, uno dei luoghi comuni più diffusi a livello di popolazione ma a volte, purtroppo, anche nell’ambito medico, è che durante la gravidanza sia meglio non prendere alcun farmaco per non esporre il feto a rischi. In genere le donne sono condizionate nella scelta di non proseguire o non iniziare una terapia con antidepressivi durante la gravidanza da informazioni che provengono da amici, parenti, servizi di salute pubblica e, soprattutto, mass-media, che passano spesso comunicazioni allarmistiche sui rischi per il feto. Ma questo non corrisponde esattamente ai dati che si ricavano dalla letteratura scientifica.
Gli americani da qualche hanno si vanno ponendo il problema della “Knowledge Translation” (KT), che riguarda il come le informazioni della ricerca scientifica vengano trasmesse da operatori sanitari e mezzi d’informazione alla gente comune. Questo argomento si sta rivelando di sempre maggiore importanza nell’ambito della prevenzione sanitaria, in quanto una corretta comunicazione delle evidenze della ricerca scientifica può aiutare le persone a prendere decisioni importanti su trattamenti sanitari, percorsi terapeutici, stili di vita e abitudini alimentari. L’utilizzo degli antidepressivi in gravidanza è uno degli argomenti maggiormente dibattuti negli ultimi anni nell’ambito del problema della “Knowledge Translation”, in quanto le donne sono spesso raggiunte da messaggi allarmistici e fuorvianti circa la possibilità di effetti teratogeni (possibili malformazioni o danni permanenti al feto) o altre complicazioni gravi in seguito all’assunzione di psicofarmaci. Mentre va considerato che le donne che interrompono il trattamento farmacologico antidepressivo durante la gravidanza hanno un rischio fino a 5 volte maggiore di sviluppare un nuovo episodio depressivo rispetto a quelle che proseguono il trattamento, é importante valutare i rischi di una depressione non trattata sia per la madre che per il neonato. Le mamme con sintomi depressivi, infatti, tendono ad andare incontro a un significativo aumento di peso, un incremento nel consumo e abuso di sostanze (alcool, fumo, analgesici anche oppiacei, antiemetici, ipnotici), maggiori rischi di un parto prematuro, complicanze ostetriche e ricorso alla terapia intensiva neonatale. D’altro canto, la depressione post-partum può incidere negativamente sullo sviluppo del bambino ed essere associata a difficoltà del temperamento, attaccamento insicuro, ritardi di sviluppo e bassi punteggi di Quoziente Intellettivo (QI) e difficoltà nelle relazioni sociali. E, ultimo ma non meno importante, si deve sempre tenere presente la possibilità dell’evenienza più drammatica di una depressione perinatale non trattata, che sono i comportamenti suicidari: il suicidio infatti spiega circa il 20% dei decessi post-partum delle donne depresse.
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