Il 2017 è stato l’anno dedicato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità al tema della depressione, con lo slogan “Depressione. Parliamone”. Infatti nonostante sia una patologia attualmente, nella maggior parte dei casi, curabile nell’arco di poche settimane, più della metà dei pazienti non riceve cure adeguate, e questo avviene generalmente per la mancata diagnosi o per la difficoltà dei pazienti a chiedere aiuto specialistico considerata la ‘cattiva reputazione’ delle patologie psichiatriche.
Già negli anni ’70 la depressione iniziava ad essere considerata la patologia psichica più diffusa al mondo con 100.000.000 di persone affette, e nel 2010 la depressione è diventata la seconda causa di disabilità nel mondo con più di 400.000.000 di persone malate e un elevato tasso di mortalità, dovuto sia a comportamenti suicidari che al fatto che possa rappresentare un fattore di rischio ulteriore e indipendente per l’insorgenza di cardiopatia ischemica. Infatti una delle consegeuenze più gravi della depressione (oltre allo stravolgimento della vita familiare e alla perdita della propria posizione lavorativa) è quella del suicidio, per cui muoiono ogni anno circa 800.000 persone, e che rappresenta la seconda causa di morte nei giovani tra i 15 e i 29 anni.
Le spese sostenute in maniera diretta nella sola Unione Europea per il trattamento della depressione ammontavano a 113,4 miliardi di euro per l’anno 2013, e questa cifra non considera i costi indiretti come perdita di produttività, assenza dal lavoro, pensionamento anticipato, morte prematura. Da questi dati si capisce come la depressione rappresenti oggi non solo un problema di sofferenza individuale ma anche di impegni e costi sanitari e socio-assistenziali di notevole entità.
Ma cos’è la depressione? La depressione è una patologia ad eziologia multifattoriale, nel senso che può avere diverse cause predisponenti, tra le quali la predisposizione familiare, fattori genetici, eventi di vita precoci (lutti, perdite, maltrattamenti), reazioni disadattive esistenziali, caratteristiche di personalità sono le più frequenti. Intanto diciamo subito che è una patologia che riguarda il mondo dei sentimenti e dei significati degli individui, ma anche il funzionamento di alcuni sistemi di neurotrasmettitori (tra cui quello della serotonina è il più conosciuto ma non è il solo). E’ una patologia che in maniera tradizionale si manifesta come un progressivo abbassamento del tono dell’umore, le persone iniziano a sentirsi sempre più spesso tristi, senza che ci sia una ragione specifica per questa tristezza; avvertono una riduzione degli interessi, una perdita delle energie, una crescente difficoltà a portare avanti impegni quotidiani e mansioni lavorative, un progressivo distacco dai coinvolgimenti affettivi che con il passare delle settimane può diventare la sensazione di non provare più sentimenti ed emozioni verso le persone care. Tali stati d’animo caratterizzati da una crescente tristezza, nell’arco di alcune settimane o mesi, possono evolvere verso quadri clinicamente più impegnativi con incapacità di portare avanti qualsiasi occupazione domestica, interruzione della continuità lavorativa, tendenza a trascorrere dentro casa, generalmente a letto, la maggior parte del tempo, con progressiva riduzione della vita sociale, crisi di pianto frequenti, umore irritabile, perdita d’interesse in gran parte di quelle attività che magari fino a qualche mese prima rappresentevano un buona fonte di gratificazione per quella persona. A volte però la depressione può manifestarsi anche in maniera più subdola, iniziando con difficoltà nel sonno notturno (frequenti sono i risvegli precoci, verso le 3, le 4 del mattino), frequenti periodi di ‘cattivo umore’ e irritabilità ai quali le persone non riescono ad attribuire particolare significato, riduzione o aumento dell’appetito, ma anche una vasta area di sintomi somatici, che possono andare dalle cefalee ricorrenti ai dolori muscolari localizzati o diffusi (quante delle cosidette ‘fibromialgie’ si risolvono con adeguate terapie antidepressive…? nella pratica clinica la maggior parte), dal colon irritabile alle cistiti ‘fantasma’ (dove la minzione frequente non è dovuta a infezioni batteriche ma a somatizzazioni di stati ansiosi-depressivi), dalle gastriti a molte manifestazioni dermatologiche.
Si parla in questi casi di ‘depressioni mascherate’, dove gli aspetti depressivi tipici sono in secondo piano e comunque coperti da una sintomatologia somatica preminente; il fatto che si tratta di vere e proprie depressioni è confermato dalla buona risposta che questi quadri clinici hanno al trattamento con gli antidepressivi.
Le cause della depressione vanno certamente cercate nel contesto esistenziale dell’individuo, e sono spesso legate a eventi che determinano cambiamenti importanti nelle vita delle persone, come eventi di perdita (dal lutto alla perdita del posto di lavoro), difficoltà sentimentali o di coppia (è interessante vedere come a volte una persona va in depressione prima ancora che una crisi del rapporto coniugale sia diventata evidente), cambiamenti di status lavorativo o familiare (le separazioni sono un classico fattore di rischio, così come i cambiamenti di ruolo e/o mansione nel contesto lavorativo, incluse le promozioni con le relative maggiori assunzioni di responsabilità che queste implicano). Da questo punto di vista è interessante notare come negli ultimi decenni le caratteristiche cliniche della patologia depressiva si sono sempre più spostate dalla tristezza e malinconia vitale alla inibizione dell’azione e alla perdita di iniziativa e motivazione nel soggetto depresso, e questo si spiega in un modello di società che è diventato sempre più performante, con continue richieste prestazionali (i famosi ‘target’, ‘mission’, ‘progetto’ tanto cari allo storytelling contemporaneo, in particolare nel linguaggio aziendale e del marketing) dove se non riesci a raggiungere determinati standard di funzionamento entra in crisi tutto un sistema di riconoscimento sociale, familiare, lavorativo con conseguente calo dell’autostima, e da li all’insorgenza di un pervasivo sentimento d’insufficienza e di una patologia depressiva il passo è breve. Partendo da questa prospettiva è importante portare il soggetto depresso ad intraprendere un percorso psicoterapeutico che gli consenta, attraverso un’acquisizione di maggiore livelli di consapevolezza in alcune aree problematiche (la cui messa a fuoco naturalmente dipende dalle capacità del terapeuta), di recuperare, attraverso la ricostruzione di eventi discrepanti (generalmente emotivamente ‘sottotraccia’ e irrisolti) che spesso hanno innescato la patologia, una continuità con la propria storia di vita e le proprie caratteristiche di personalità. Un lavoro di questo genere, focalizzato soprattutto sulla narrativa e l’immaginario della crisi, e che cerca di ritrovare i fili di questa narrativa entrata in crisi nella storia personale del soggetto depresso, lavorando soprattutto sulla propria dimensione emotiva, può rappresentare la strada maestra per “venirne fuori”, peraltro con una nuova e più solida consapevolezza di sé.
Oggi però esiste una corposa letteratura, nel mondo della ricerca, che vede la depressione come una patologia causata anche da una serie di disfunzioni biochimiche a livello del sistema nervoso centrale (SNC), le più conosciute delle quali sono un’anomalia di funzionamento di alcuni neurotrasmettitori, come ad esempio quelli della serotonina, della noradrenalina o della dopamina. Questa ipotesi neurotrasmettitoriale della depressione ha iniziato a prendere corpo fin dagli anni ’60 e ha raccolto man mano sempre più evidenze nella letteratura scientifica. Volendo molto semplificare, secondo questa ipotesi la depressione sarebbe causata da un deficit di trasmissione di questi neurotrasmettitori, in particolare uno dei più studiati e famosi anche presso il grande pubblico è rappresentato dalla serotonina. Da questo punto di vista la depressione viene considerata anche come una conseguenza di un deficit di serotonina (anche se questa affermazione rischia di essere una inadeguata semplificazione del fenomeno che lo banalizza piuttosto che aiutarlo a comprenderlo). Tra l’altro dati più recenti hanno messo in evidenza nelle persone depresse anche la compromissione di alcune aree cerebrali implicate in fenomeni di neuroplasticità (come l’ippocampo), cioè la capacità del cervello di produrre nuovi neuroni e nuove sinapsi per aumentare le proprie prestazioni in relazione all’ambiente. Ebbene nella patologia depressiva queste aree e queste funzioni appaiono compromesse (come se il cervello, in alcune situazioni di prolungato stress non ce la facesse a sostenere le richieste dell’ambiente e iniziasse a ‘perdere colpi’, impoverendosi di neuroni in alcune aree sensibili) e il trattamento con farmaci antidepressivi ne ripristina, nell’arco di qualche settimana, un più regolare funzionamento.
Quindi quei miglioramenti clinici, a volte veramente brillanti, che vediamo e condividiamo con i nostri pazienti dopo alcune settimane di trattamento, corrispondono ad un cervello più stimolato in termini di neuroplasticità e maggiormente in grado di confrontarsi efficacemente con gli stimoli ambientali. In questi casi il problema può esssere quello di valutare quanto a lungo deve essere mantenuta una terapia farmacologica dopo la risoluzione dell’episodio depressivo. Naturalmente il decorso della patologia è abbastanza influenzato dal peso dei fattori predisponenti, nel senso che, ad esempio, aspetti genetico/familiari incidono maggiormente sulle difficoltà di decorso e sulla risposta alle terapie. Diciamo che nel caso di un primo episodio depressivo importante, una terapia farmacologica adeguata dovrebbe essere portata avanti per un periodo di almeno 8-12 mesi. In casi di una storia di episodi depressivi ricorrenti il trattamento farmacologico andrebbe portato avanti per più anni, per evitare possibili ricadute. Più complesso è il discorso per gli interventi psicoterapici: questi vanno generalmente consigliati come terapie d’elezione nei soggetti più giovani e nei casi clinicamente meno gravi, rappresentano invece un supporto alle terapie psicofarmacologiche nei casi più gravi e nei soggetti più anziani (naturalmente per i tempi di trattamento dei percorsi psicoterapici dipende molto dal modello teorico di riferimento, dove generalmente le terapie cognitivo-comportamentali prevedono tempi più brevi e definiti, mentre quelle ad orientamento psicoanalitico tempi più lunghi e meno definiti). Come potete capire la capacità di considerare il trattamento più adeguato, valutando tipologia e modalità di interventi farmacologici e psicoterapici, può rappresentare una sfida abbastanza impegnativa per il clinico, anche perché da un corretto approccio terapeutico dipenderà il decorso della patologia depressiva e, quindi, anche della sua possibilità di guarigione, ovvero del suo destino verso la cronicità.
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